Viterbo, città del Lazio settentrionale, a 82 km a nord di Roma, protagonista di numerose leggende, è situata sulle prime pendici dei Monti Cimini e distesa ad occidente verso l’ultimo lembo della pianura maremmana. Posta ad una altitudine di 326 metri sul livello del mare. Il Comune di Viterbo occupa un’area di 406,27 kmq, con 60.000 abitanti e […]
Viterbo, città del Lazio settentrionale, a 82 km a nord di Roma, protagonista di numerose leggende, è situata sulle prime pendici dei Monti Cimini e distesa ad occidente verso l’ultimo lembo della pianura maremmana.
Posta ad una altitudine di 326 metri sul livello del mare. Il Comune di Viterbo occupa un’area di 406,27 kmq, con 60.000 abitanti e comprende numerose frazioni (La Quercia, Bagnaia, S. Martino al Cimino, Tobia, Roccalvecce, Grotte S. Stefano, Montecalvello, Monterazzano).
La Città delle leggende è capoluogo della Provincia di Viterbo dal 1927 e possiede un vasto centro storico medioevale, cinto da mura ed espansioni moderne circostanti, tranne a sud-ovest, dove si estendono zone agricole, archeologiche e termali.
La Città di Viterbo è sede vescovile, nel Medioevo ricoprì il ruolo di capitale della Cristianità e rimase (nonostante fosse anche un potente comune, uno dei primi a nascere nella penisola, nel 1095) per quasi un millennio sotto l’orbita del sistema pontificio, prima di entrare nel 1870 a far parte del Regno d’Italia.
Solo negli ultimi decenni però, la città ha conosciuto gli sviluppi economici e sociali . Dal 1979 è istituita l’Università della Tuscia, in continua crescita, e a Viterbo ha sede dal 1986 la Sovrintendenza Archeologica per l’Etruria Meridionale. Per il bellissimo scenario del suo centro medioevale, il capoluogo viene frequentemente scelto come teatro di produzioni cinematografiche.
Viterbo ha il più vasto centro storico medievale d’Europa, quindi del mondo, con alcuni quartieri medioevali ben conservati dove si estendono zone archeologiche e termali.
Viterbo, oltre alle sue leggende, riveste notevole importanza dal punto di vista militare con l’Aeroporto “Tommaso Fabbri” e le tre caserme del Centro Cavalleria dell’Aria (comando nazionale), della Scuola Marescialli dell’Aeronautica, e della Scuola Sottufficiali dell’Esercito (SAS). Senza dimenticare il complesso termale, con piscina monumentale, meta di moltissimi turisti alla ricerca del benessere fisico.
Nei primi giorni di Maggio nella città si svolge la manifestazione ‘S.Pellegrino in Fiore’ dove le piccole piazze, fontane, palazzi storici ed infine il Palazzo Papale di stile gotico, vengono ornate ed abbellite per l’occasione, da fiori e piante, trasformando il centro storico in un arcobaleno di colori.
3 storie da conoscere: le leggende di Viterbo e le verità.
La leggenda della Bella Galiana
La città di Viterbo è protagonista di molte leggende e come riportato su antiche cronache, nel XII secolo, aveva sei nobiltà (cose preziose):
- Era una città libera, nessuno poteva impadronirsene.
- Possedeva l’altare Viareccio, un altare posto su un carro che dava la vittoria in battaglia a chi lo possedeva.
- Aveva una giovane di nome Galiana, di bellezza insuperabile.
- Aveva una donna chiamata Anna, con i capelli metà rossi e metà verdi.
- Possedeva il cavallo Calo, vigoroso e bello, celebrato in tutta Italia.
- C’era a Viterbo un giullare detto Frisigello, insuperabile per abilità.
Una delle leggende attribuisce la nascita di Viterbo, ad opera di profughi provenienti dalla distrutta città di Troia. A ricordo di questa origine si narra che venisse mantenuta e venerata una scrofa bianca e, nel giorno di Pasqua, le venisse offerta come pasto, presso il fiume Paradosso, una fanciulla tratta a sorte tra le vergini della città.
Un anno la sorte toccò a Galiana, una fanciulla bellissima dalla carnagione così bianca e trasparente che quando beveva del vino rosso, il colore vermiglio traspariva dalla sua gola.
La fanciulla fu dunque condotta al luogo dei sacrifici ma, quando la scrofa stava per divorarla, dal bosco vicino sbucò un leone che uccise la bestia e la trascinò con se nella foresta. Galiana fu così liberata e con essa la popolazione dal terribile obbligo di sangue.
Il popolo, riconoscente, assunse nello stemma della città il leone ed eresse sul luogo una chiesetta intitolata “Santa Maria della Scrofa”. Galiana crebbe in età e bellezza e la sua fama si sparse nei paesi più lontani, molti erano quelli che venivano per poterla ammirare.
La leggenda continua e narra di un nobile romano che venuto a Viterbo, chiese in moglie la fanciulla e al suo rifiuto decise di averla con la forza. Tornato con un esercito armato, pose sotto assedio la sua famiglia nella torre detta del Bacarozzo presso la porta di FAVL. Il padre, non avendo più provviste per resistere, piuttosto che cedere la figlia agli assalitori la uccise e gettò il corpo giù dalla torre.
Questo è il finale della leggenda, ma non è l’unico, un altra versione della leggenda, narra che il nobile non riuscendo nel suo intento di averla con la forza, chiese che Galiana gli venisse mostrata ancora una volta dall’alto della torre, poi avrebbe tolto l’assedio e sarebbe tornato nella sua città.
La sua richiesta fu accolta ma, appena Galiana si mostrò dall’alto degli spalti, c’è chi dice lo stesso nobile, chi invece arrerisce sia stato un suo soldato, partì una freccia da una balestra che colpì a morte Galiana.
I Viterbesi inferociti uscirono dalle mura e diedero battaglia, l’esercito assalitore fu sgominato e messo in fuga. La fanciulla fu sepolta nel sarcofago con scolpita la storia del leone e della scrofa. Una terza versione narra che il nobile, vista la fanciulla amata per l’ultima volta, si ritirò con le sue truppe come promesso.
Le leggende di Frate Annio da Viterbo e le fake news del rinascimento
Durante la sua vita Frate Annio fu benvoluto e protetto da due grandi Papi dell’epoca Sisto IV e Alessandro VI che rimasero ammaliati dalla sua immensa cultura, tanto che Papa Alessandro lo nominò Maestro del Sacro Palazzo Apostolico.
Di Annio oggi a Viterbo rimane la scritta FAVL con l’omonima valle e le vie del centro storico: Via Vetulonia e Via Annio; ma soprattutto le teorie anniane influenzarono la realizzazione dei dipinti del palazzo dei priori di Viterbo.
La sala regia dove è dipinta la tetrapoli etrusca FAUL e la sala del consiglio dove in chiaroscuro vengono raffigurati tutti i personaggi mitologici e storici fantasticamente legati all’origine di Viterbo Ercole, Atlantide, Tirreno, Tarconte, Pipino il Breve e altri su quali troneggia il dipinto che ritrae la figura di Annio da Viterbo.
Ma chi era Annio da Viterbo ?
Giovanni Nenni più noto come Annio da Viterbo, era un frate Domenicano nato a Viterbo il 5 gennaio 1437 e morto a Roma il 13 settembre del 1502, colto erudito ma anche un grande manipolatore di scritti antichi e manufatti archeologici.
Scrisse l’opera “Antiquitatum variarum“ composta da 17 volumi che è risultata essere una delle più grandi falsificazioni della storia di Italia in campo storico e archeologico. Dopo la pubblicazione, ebbe un grande successo fino al 18° secolo e furono fatte anche nuove edizioni in volgare. Il dubbio sull’autenticità di questi scritti fu sollevato in seguito, dallo studioso di nome Giuseppe Giusto Scaligero.
Annio teorizzava e predicava una sorta di superiorità di Viterbo rispetto alla città di Roma e ai romani, che venivano a Viterbo.
Così si rivolgeva: Voi avete il Papa ma anche noi viterbesi alla fine del 1200 per un lungo periodo lo abbiamo avuto, ma ai tempi in cui voi eravate contadini e pastori qui a Viterbo invece prosperava la grande civiltà degli Etruschi’.
Ingannava i romani, mostrando loro i sarcofagi etruschi non rinvenuti a Viterbo, bensì dalle città di origine etrusca limitrofe, opportunamente collocati nei punto più visibile della città.
Per Annio, Viterbo era nata dalla fusione di 4 grandi centri Etruschi: Fanum, Arbanum, Vetulonia e Longula dalle cui iniziali è nato l’acronimo FAVL, poi in tempi successivi, Desiderio re dei longobardi decise di circondare l’immensa tetrapoli con mura, dandogli il nome di Vetumno poi diventato Viterbo. Tutto questo poi è risultato totalmente falso e infondato.
Per avvalorare le sue tesi sul mito della grande città di Viterbo, Annio non si limitò a inventare o manipolare testi scritti, ma anche a produrre e comporre dei falsi archeologici ora conservati gelosamente nel museo civico viterbese. Qui possiamo infatti trovare i cosiddetti falsi di Annio, tutti, frutto della sua sviluppata fantasia.
- Il decreto del re Desiderio, un semicerchio di marmo scritto in “beneventano” in uso nel periodo di dominazione longobarda dove si narra la volontà del re Desiderio di circondare la tetrapoli viterbese FAVL con mura.
- Il Marmo Osiriano, una specie di collage marmoreo dove si distinguono tre parti: un tralcio di vite risalente al periodo romanico, due teste che risalgono al 1400 e una scritta che vuole intendere che la sua città Viterbo, derivi dal Dio Osiride Egizio progenitore degli antichi Etruschi.
- La Tavola di Pipino Larthe re degli Etruschi, nella quale vi sono immagini di un antico re etrusco con la sua regina, ritratti molto simili al dio Dionisio e alle Menadi, i marmi sembrano di epoca romana ma realizzati nel ‘400.
- Infine la Tavola Cybellaria una ruota di marmo la cui epigrafe è scritta in caratteri ellenici maiuscoli per imitare una scrittura antica dell’Asia minore.
I F.lli Monfort e le leggende dell’assassinio di Enrico di Cornovaglia
La chiesa Del Gesù, ex chiesa di San Silvestro, posta nella piazza a ridosso delle vie medioevali che si dipartono dal centro storico, in stile romanico, è una delle più antiche della città di Viterbo; la primitiva costruzione forse risale a prima dell’anno mille, il primo documento nella quale è nominata porta la data del 1080.
Una targa, sul lato sinistro della facciata, ricorda l’efferato fatto di sangue che il 13 marzo 1271 fu compiuto all’interno della chiesa.
In quel periodo, a Viterbo, era in corso da oltre due anni un conclave e, nonostante il tempo trascorso, non si vedeva tra i cardinali nessun accordo sul nome del nuovo pontefice. Nel tentativo di sbloccare la situazione, giunsero a Viterbo, di ritorno dalla crociata di Tunisi, il re di Francia Filippo III ed il re di Sicilia Carlo I d’Angiò.
A rendere omaggio a re Carlo giunse Guido di Monfort che era il suo rappresentante per la Toscana accompagnato dal fratello Simone. Arrivati a Viterbo, i due Monfort appresero della presenza in città di Enrico di Cornovaglia, loro cugino carnale e cugino anche di re Edoardo I di Inghilterra.
Sei anni prima, Simone di Monfort duca di Leicester, padre di Guido e Simone, era stato orribilmente trucidato per ordine della famiglia reale inglese, nonostante si fosse consegnato prigioniero dopo la battaglia di Evesham nella quale aveva guidato le truppe ribelli alla corona. I due fratelli pensarono fosse giunto il momento di vendicare il loro padre e, la mattina del 13 marzo 1271, mentre Enrico di Cornovaglia assisteva alla messa, al momento della comunione, irruppero nella chiesa e trucidarono il principe proprio sull’altare presso il quale aveva cercato rifugio.
Fu pure ucciso un chierico che aveva tentato di difenderlo mentre un altro rimase ferito. Gli assalitori erano già fuori della chiesa pronti a fuggire, quando Guido, incitato da un cavaliere al suo seguito, tornò indietro e, afferrato il cugino morente per i capelli, lo trascinò fin sulla piazza.
L’atroce delitto, sia per perché compiuto in un luogo sacro, sia per il grado di parentela tra l’ucciso ed i suoi carnefici, destò molto scalpore in tutta l’opinione pubblica dell’epoca; Dante stesso ricorda l’episodio nei versi 115-120 del XII canto dell’inferno. Il cuore del principe inglese fu portato a Londra mentre il corpo prima tumulato nella cattedrale di Viterbo fu in seguito traslato nel duomo di Orvieto.
Ora che abbiamo scoperto le leggende di Viterbo, sento fortemente di consigliarvi una passeggiata nel centro storico, associata a qualche ora di relax nei suoi famosi centri Termali. La zona del Viterbese è inoltre un’ottima tappa per un tour eno-gastronomico.
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